venerdì 18 novembre 2011


 di  Giovanni Bortoli

 

Da Platone ai politici di professioneCol governo Monti torna il «sapere»

Lo Stato e la (fraintesa) filosofia

Platone visto da Raffaello (web)
Platone visto da Raffaello (web)
In uno dei passi più noti (ma anche generalmente meno capiti) del dialogo intitolato «Repubblica», per bocca di Socrate Platone formula una proposta destinata a restare famosa. «Non vi potrà essere una tregua ai mali che affliggono gli Stati - afferma infatti il filosofo - fino a che a governare non siano i filosofi». Posto di fronte a questa ipotesi, l’interlocutore di Socrate replica come forse molti noi oggi risponderebbero, vale a dire minacciando di lapidare l’incauto sostenitore di una proposta tanto temeraria. In realtà, a differenza di quanto generalmente si crede, e come lo sviluppo del dialogo lascia chiaramente intendere, Platone non pensava affatto che un rimedio efficace per la salute dello Stato potesse consistere nell’affidare il governo ai professori di filosofia. Era convinto, piuttosto, che per potere convenientemente esercitare le complesse funzioni connesse con l’attività di governo fossero necessarie delle specifiche competenze, e cioè che per «governare» fosse necessario anzitutto «sapere». Con ciò, ancora una volta, Platone appare lontanissimo dallo stereotipo caricaturale dell’«idealista », del pensatore con la testa fra le nuvole, perché anzi egli è assertore, in termini estremamente «realistici», della necessità che coloro che sono chiamati ad esercitare la difficile arte del governo siano provvisti delle conoscenze indispensabili.
Col passare dei secoli, il «messaggio» platonico doveva restare sostanzialmente inascoltato. Sempre di più, soprattutto nel corso del Novecento, nell’elaborazione teorica e nella concreta prassi politica, si è manifestata una netta divaricazione tra la funzione politica e quella tecnico- scientifica. Da un lato, anche per l’influenza di testi spesso fraintesi di Lenin o di Max Weber, è cresciuta una schiatta di «politici di professione», talora abilissimi negli intrighi, insuperabili conoscitori dei sotterranei della politica, ma mancanti di conoscenze in qualche modo qualificate. Dall’altra parte, le conoscenze in quanto tali si sono sviluppate del tutto al di fuori di ogni possibilità di diretta influenza sulle modalità di organizzazione e di gestione della cosa pubblica. Politici senza specifiche qualità intellettuali e intellettuali senza voce politica. Poco alla volta, è venuto affermandosi anche uno specifico identikit dell’uomo politico, con trascurabili differenze dovute alle diverse «collocazioni », a destra o a sinistra: un personaggio spregiudicato, dedito instancabilmente a tessere mediazioni, imbattibile nella sottile arte del compromesso, affabulatore insuperabile, capace di forgiare o di ripetere slogan e luoghi comuni a getto continuo, prontissimo nella battuta fulminante, ma anche profondamente e irreparabilmente «ignorante » - nel senso proprio di colui che «non conosce» i problemi di cui si occupa nella loro sostanza tecnico-scientifica. Correlativamente, si è assistito ad un processo di polarizzazione di quello che Marx chiamava il «cervello sociale», nel senso che gli addetti alla coltivazione e alla produzione dei diversi ambiti del sapere hanno finito per formare un ceto sociale distinto e separato, molto raramente in comunicazione col resto della società, e generalmente del tutto trascurato dai politici di professione.
L’ambizione del governo Monti è quella di rovesciare il rapporto che si è consolidato negli ultimi decenni, conferendo direttamente potere alle conoscenze incarnate nei «tecnici » coinvolti nella compagine di governo. E’ difficile dire come potrà andare a finire. Certo, anche solo sul piano dello stile, l’idea che non vedremo più il ghigno di La Russa, che non assisteremo più ai patetici tentativi di arrampicarsi sulla sintassi della lingua italiana da parte della Gelmini, che potremo non associare più al faccione rubizzo di Bondi i beni culturali del paese più ricco di arte e cultura del mondo, che saremo esonerati dalle periodiche sortite isteriche di Brunetta, che ci verranno risparmiate le tirate razziste di Calderoli, e che, viceversa, potremo vedere se non altro «facce» meno indecenti, qualche consolazione non irrilevante già la fornisce. Ma insieme non possiamo dimenticare che, per aver cercato di realizzare concretamente quanto auspicato nella «Repubblica», Platone stesso ha corso il rischio di fare una brutta fine.

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